La fisioterapia, la libellula e il serpente

Fisioterapia libellula serpente

Sembra il titolo di una fiaba dal sapore orientale, una di quelle fiabe dal finale che illumina e sconvolge il pensiero. Purtroppo, invece, è solo il naufragio di un progetto di comunicazione finito male.

Rappresentare la Fisioterapia con caduceo e libellula? Ebbene sì!

Una scelta (la cui paternità affonda nella nebulosa del “non si sa chi”) che ha suscitato forti perplessità nei fisioterapisti. Dubbi sull’approccio grafico, dubbi sul significato, dubbi sulle stesse modalità che hanno determinato questo risultato finale.

Personalmente mi colloco nella schiera dei critici (in senso neutro, l’etimologia greca della parola è chiara: individuo che esprime un giudizio).

Ho quindi deciso di scrivere questo articolo per dar voce a quanti, proprio come me, sono rimasti profondamente delusi dal risultato finale.

Il logo FNOFI

Per passione e professione mi occupo di marketing e comunicazione. Avendo accompagnato centinaia di fisioterapisti nei loro progetti di branding, ho imparato che c’è un’enorme differenza fra ciò che piace (criteri soggettivi) e ciò che è efficace (criteri oggettivi). 

Desidero inoltre condividere con i colleghi meno esperti nelle dinamiche della comunicazione gli elementi tecnici di base per dare la possibilità a tutti di valutare il risultato finale nel modo più obiettivo possibile.

La creazione di un logo è un processo più complesso di quello che si possa pensare.

Molto più complesso.

Va inoltre messo in evidenza come le azioni di branding o di rebranding per un’azienda che opera in ambito sanitario necessitino di competenze estremamente specifiche.

Per prima cosa dobbiamo conoscere il pubblico di riferimento (il c.d. pubblico target) per poter rispondere alla domanda fondamentale: a chi vogliamo comunicare il nostro valore?

Comunicare il valore

Valore è un termine che conosciamo tutti, ma ritengo utile darne una definizione di base per evitare fraintendimenti. Partiamo dall’etimologia; il sostantivo deriva dal verbo latino valere: essere forte, sano, capace, significare. 

In un’azienda sanitaria il valore è rappresentato dalle caratteristiche peculiari del poliambulatorio o del centro di fisioterapia.

Il valore non è un dato immutabile; è anzi suscettibile allo scorrere del tempo e, auspicabilmente, è un processo di evoluzione continua.

Nel caso di un brand (o una qualsiasi attività professionale/commerciale) l’analisi approfondita di questo processo ci fornisce gli elementi fondamentali per determinarne: 

1- il giusto nome (naming)

2- l’immagine (pittogramma o ideogramma, emblema, tipografia ecc.) più appropriata

3- il pay-off (frase che riassume l’essenza del brand) più efficace.

Partiamo da un presupposto fondamentale: l’identità di un brand non è solo il logo.

È piuttosto l’insieme dei valori che incarna, che esprime e che, successivamente, rappresenta per il suo pubblico di riferimento. Quindi il logo è solo uno degli elementi atti a comunicare i valori del brand, è importantissimo ma non è l’unico.

Dobbiamo poi considerare che un logo di stampo prettamente istituzionale risponde a criteri parzialmente diversi da quelli necessari per un logo più “commerciale”.

Il concetto di brand identity, ad esempio, può risultare inappropriato quando non direttamente riferito a un’azienda di tipo commerciale.

Per quanto riguarda il pubblico di riferimento e gli obiettivi finali, la comunicazione istituzionale e il marketing si sovrappongono in diversi punti rimanendo però, per altri versi, molto distanti.

Immagina di voler promuovere un’idea, un impegno, un movimento di opinione, dei valori comuni o il desiderio di proteggere/garantire qualcuno o qualcosa. Ora immagina di voler pubblicizzare un prodotto o un servizio.

Esatto, hai indovinato: la strada ha una matrice comune ma, ad un certo punto, prende direzioni molto diverse.

Il mondo della comunicazione (soprattutto prima che le neuroscienze iniziassero a dimostrare in modo inequivocabile le dinamiche di alcuni processi cognitivi) ingloba diversi approcci e scuole di pensiero. Uno dei pochi concetti su cui tutti sono d’accordo è che un logo deve avere alcune caratteristiche imprescindibili.

Le caratteristiche di un logo

Nelle sessioni di formazione, sia in aula che online, utilizziamo spesso esempi di brand famosi, importanti e conosciuti da tutti.

Gran parte delle caratteristiche implementate nella progettazione dei loro loghi risulta funzionale anche in ambito sanitario. Di contro altre caratteristiche mal si conciliano con le esigenze comunicative del nostro settore.

Procediamo ora con alcune osservazioni di carattere generale, molto utili per iniziare a migliorare la capacità di analizzare un logo/brand.

1- Un logo deve essere declinabile in monocromia, in bianco o in nero senza perdere le sue principali caratteristiche.
Deve mantenere la sua
personalità in quante più situazioni possibili. Pensa alla mela della Apple o al baffo della Nike, immaginali in vari colori e in diverse declinazioni: in nessun caso perdono le loro caratteristiche fondanti. 
Sono loghi “semplici”, basati su linee e curve ben riconoscibili. Aggiungere elementi, colori, sfumature rende un logo meno adattabile alle diverse esigenze di comunicazione.

Logo Fnofi monocromatico

Nell’immagine qui in alto abbiamo provato a convertire il logo FNOFI in monocolore bianco per collocarlo su uno sfondo preso dalla palette colori utilizzata dal designer. È evidente come gran parte delle caratteristiche fondanti del logo, sia in termini di linee che di ricchezza cromatica, vadano inesorabilmente perse.

2- Pensiamo ai colori: la teoria del colore è una vera e propria scienza, ha a che fare con la matematica, la fisica, le neuroscienze.
Puoi scegliere e abbinare i colori seguendo regole di complementarità o dissonanza, ma qualsiasi scelta provoca effetti specifici, a livello inconscio, sulla mente umana.
Alcune sfumature di giallo, se abbinate a tonalità scure, producono un senso di repulsione. Lo dimostrano diversi studi ma ancor più ce lo insegna la natura, attraverso la colorazione di determinate specie di animali ed insetti.
Altre ricerche sulla percezione del livello del brand suggeriscono che la scelta dei colori (e il loro numero) è estremamente rilevante sull’impatto generale sul pubblico.

Secondo il grande architetto tedesco Ludwig Mies van der Rohe l’idea è quella di puntare sull’essenziale per dare valore a ciò che si crea, eliminando il superfluo, quello che non serve. In sostanza: less is more!

3- Altro tema delicato: il significato.
Apple rimanda chiaramente alla mela ma lo swoosh di Nike? Cosa simboleggia? Movimento? Dinamismo? Saresti in grado di dirlo con certezza?

Rimaniamo saldamente ancorati al concetto (ampiamente dimostrato in comunicazione ma anche in arte) che less is more.

Sovrapporre troppi strati di significanti non fa altro che ingenerare confusione, lasciando all’utente finale la possibilità di scegliere quale cogliere. Questo non è il nostro obiettivo: noi dobbiamo essere in grado di prevedere e determinare (con un certo margine di approssimazione, ovviamente) quale effetto la nostra proposta sortirà sul pubblico.

Immagina di essere un archeologo che ha scoperto una preziosa testimonianza di un passato lontanissimo. Più stratificazioni avrà depositato il tempo, meno veloce sarà la strada verso il cuore della scoperta, verso ciò che è veramente importante.

Un significato comprensibile?

Ci sono culture che attribuiscono ad alcuni insetti il crisma della trasformazione, talvolta dell’immortalità.

Ma possiamo considerarla un’attribuzione universale?

La nostra cultura, quella in cui viviamo e ci muoviamo, è in grado di interpretare correttamente questi segni, questi simboli?

Quale percentuale del significato che abbiamo infuso nel nostro logo potrebbe ragionevolmente disperdersi nel percorso mittente-destinatario?

La libellula: diamo per assodato (o forse no?) che possa simboleggiare leggerezza e/o leggiadria e che questa associazione di pensiero sia comune a tutti.

Il passo successivo è chiederci: leggerezza e leggiadria sono elementi corretti per rappresentare la professione del fisioterapista?

Quanto è leggera la fisioterapia?

E se, piuttosto che di leggerezza, scegliessimo di rappresentare il dinamismo

Forse un insetto, sebbene indubbiamente dinamico, non è il simbolo ideale da mostrare ad utenti (i nostri pazienti) che versano già in una condizione quantomeno di disagio.

Traghettiamo il discorso verso i lidi delle rappresentazioni istituzionali: l’araldica certamente contempla riferimenti agli  artropodi ma in quali occasioni? Per rappresentare cosa? Quale confederazione professionale oggi (ma anche quale stemma comunale o provinciale) espone a suo rappresentante un insetto?

Non dimenticare che un logo è fondamentalmente un mezzo di comunicazione fra due interlocutori.

Da una parte quindi deve necessariamente raccontare la storia del mittente, dall’altra deve però significare qualcosa per il destinatario.

Chi è il destinatario del logo in oggetto? In termini tecnici: qual è il target di riferimento?

Il target di riferimento

Qual è il target di riferimento del logo in oggetto? Sono i fisioterapisti? Sono le altre istituzioni? Forse le altre professioni?

Identifichiamo con precisione il target e poi chiediamoci cosa questo agente (perché dal destinatario di un messaggio ci aspettiamo sempre una reazione) vede nella libellula? Potrebbero esserci persone che addirittura provano repulsione rispetto a questo insetto? 

 

Fisioterapia Italia Esculapio Hermes

In ambito medico/sanitario è arcinoto e stra-utilizzato il simbolo del caduceo (con tutte le sue derivazioni): riportato in molti loghi del settore restituisce risultati di percezione molto diversi.

Sarebbe inoltre molto utile capire la differenza tra la verga di Asclepio (o Esculapio) e il Caduceo, che spesso vengono confusi o addirittura vengono investiti dello stesso identico significato.

Il caduceo era già presente nell’arte mesopotamica del 3500 a.C. Successivamente i greci vi aggiunsero le ali, quelle stesse ali che vestivano i calzari di Hermes. 

La verga di Esculapio (dio greco-latino delle arti mediche) è un simbolo costituito da un serpente attorcigliato attorno a un bastone. In quanto rappresentante il dio delle arti mediche è quindi un simbolo corretto per un logo sanitario. Questo però non lo rende differenziante.

Per il logo della nostra prima federazione avremmo potuto scegliere elementi più facilmente riconoscibili, più facilmente condivisibili. Le mani, ad esempio, il cervello o l’uomo vitruviano.

Naming e font

La scelta del nome ed il font abbinato al logo sono elementi fortemente caratterizzanti e altrettanto determinanti.

Un nome efficace deve essere semplice, lineare, breve e immediatamente memorizzabile. Addirittura memorabile.

Il più influente filosofo arabo del medioevo è sicuramente Abū al-Walīd Muḥammad ibnʾAḥmad ibn Rušd.

Come puoi immaginare è un nome semplice da ricordare per gli arabofoni, molto meno per chi parla le lingue neolatine (torniamo al discorso sull’identificazione del pubblico target). In occidente si è resa necessaria una semplificazione linguistica ed oggi il filosofo è universalmente conosciuto come Averroè.

Sicuramente Abū al-Walīd Muḥammad ibnʾAḥmad ibn Rušd rappresenta appieno i tempi e la cultura in cui il filosofo è immerso, ma per le popolazioni occidentali un nome così complesso rappresenta uno scoglio quasi insormontabile: di qui la necessità di semplificare, di rendere accessibile, di operare a volte una vera e propria traduzione in un’altra lingua. 

Questo ci guida verso alcune considerazioni circa l’acronimo scelto dalla federazione.

FNOFI è foneticamente disordinato, è di difficile utilizzo e forse non è il mezzo ideale per veicolare un messaggio importante come quello di cui siamo depositari. 

Probabilmente ci sono stati dei vincoli che non ci è dato conoscere e che non hanno permesso di fare di meglio.

Il font scelto (non tanto nella declinazione dell’acronimo quanto in quella delle singole parole che lo compongono) pecca di una modernità quasi imbarazzante, tanto da sembrare una scelta al limite dell’azzardo per comunicare i valori di una professione come la nostra, nobile e con radici ben salde nella storia.

Adrian Frutiger, designer svizzero ideatore di diversi font iconici, ha progettato il font commissionatogli dall’aeroporto internazionale Charles De Gaulle pensando al probabile disorientamento del viaggiatore straniero nell’aeroporto principale di una metropoli.

Ha quindi creato il font Frutiger (chiamandolo semplicemente con il suo nome): una soluzione chiara, lineare ma morbida, immediatamente identificabile anche da lontano.

La scelta di un font è strettamente legata al tipo di messaggio che si vuole far trasparire.

Il font del logo FNOFI sarebbe fantastico per una band musicale, per l’ultimo capitolo della saga di Star Wars, financo per un negozio di articoli per sport estremi.

Forse si sarebbe potuta azzardare una scelta in cui la forza trainante della modernità non necessariamente doveva calpestare la tradizione, l’ufficialità, l’istituzione.

Altre considerazioni

In questo momento storico per le fisioterapia (al di là del risultato finale del logo FNOFI, sicuramente discutibile) avremmo potuto utilizzare questo processo di creatività come momento di unione e convergenza.

Si potevano coinvolgere nel progetto creativo scuole, licei artistici e università per presentare meglio la figura del fisioterapista alle nuove generazioni.

Si potevano coinvolgere i fisioterapisti nella scelta. Esprimere una preferenza tra le tre proposte creative arrivate in finale al concorso, magari con una semplice votazione online.

Si poteva creare un evento finale per comunicare l’ufficialità del momento. Si poteva accompagnare tutto con un ufficio stampa per dare risalto all’iniziativa. Si potevano coinvolgere altre istituzioni durante tutto il percorso, come anche associazioni e parti sociali.

Ma è andata così.

Tristemente e nell’ombra.

La mancanza di fondi o il poco tempo sono false scuse. L’unica vera mancanza sta nel mancato coinvolgimento della categoria. Abbiamo perso un’altra occasione per far crescere la figura del fisioterapista nell’immaginario collettivo.

 

Luca Luciani
CEO Fisioterapia Italia Consulting

 

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